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JEAN ZAREMBA ” PIEDIMONTE SAN GERMANO CITTA’ MARTIRE”

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Generale Jean Zaremba, lei era sottotenente del VI Reggimento Corazzato polacco e ha combattuto sul fronte di Cassino nella dura battaglia che sfondò la linea Hitler e diede la possibilità agli Alleati di avanzare su Roma. Quando giunse a Cassino?

«Io arrivai il 17 maggio 1944 da Ciorlano, vicino a Capriati al Volturno, e il mio squadrone fu dislocato a Cassino e dovevamo dare il cambio al IV Reggimento Corazzato, Scorpioni, nel caso fosse fallito l’assalto alla vetta di Montecassino. Io ero con il gruppo A, il Comando del Reggimento, vicino al colonnello che dava gli ordini»

Lei ricorda il momento in cui fu preparato il piano per sfondare la linea Hitler?

«Dopo la conquista di Montecassino, il Comando Inglese chiese al generale Anders di far confluire i polacchi lungo la statale n. 6, via Casilina, allo scopo di sfondare la linea Adolf Hitler. Ma da un punto di vista tattico gli Alleati commisero diversi errori, perché la valle del Liri si allarga e ti invoglia a proseguire la marcia, ma dietro era stata preparato questo sistema difensivo che ci bloccò per una settimana».

Una linea difensiva, profonda 700-800 metri, che si estendeva da Monte Cairo attraverso Piedimonte San Germano, in direzione Aquino, Fondi fino a Terracina. Uno sbarramento difficile da superare?

«Piedimonte San Germano era linea ideale, rappresentava il baluardo del sistema difensivo, così come Montecassino era il centro della Linea Gustav. Poi Piedimonte sorgeva alla base di Monte Cairo che io chiamavo “l’occhio del gigante”. Il legame tra queste due linee difensive creava l’effetto di un cancelllo girevole con Montecassino che faceva da pilastro centrale. Se il cancello fosse stato sfondato sarebbe potuto girare indietro lungo la valle, fino alle postazioni della Hitler, con Montecassino che faceva da perno e punto fermo. Poi sarebbe stato sganciato e lasciato alle spalle, sostituito dal nuovo pilastro a Piedimonte San Germano. Che sarebbe diventata la nuova Montecassino».

L’attacco alla Linea Hitler è sempre stato considerato un aspetto secondario, invece la battaglia è durata una settimana. In che modo fu sfondata la linea difensiva?

«Molti pensano che il fronte fu sfondato con la presa di Montecassino invece ci fu un’altra settimana di scontri duri e di grosse perdite, la battaglia non finisce il 18 maggio bensì il 25, una settimana dove vi furono tanti caduti. I Canadesi attaccarono a sinistra della strada numero 6, via Casilina, mentre i nostri carri armati attaccavano a destra, verso il piccolo monastero di Santa Scolastica. Dalla nostra parte c’era una Brigata degli Indiani, Fanteria senza Carri Armati, ma noi dovemmo oltrepassare la linea perché gli Indiani non erano in grado di cooperare con i Carri Armati. Il 22 maggio arrivammo lungo i pendii di Piedimonte San Germano ma non riuscimmo a passare»

Lei fu testimone della dura battaglia di Piedimonte San Germano, come ricorda l’ultimo assalto ai tedeschi arroccati sulla collina?

«Guardi, la lotta per la conquista di Piedimonte fu accanita, furibonda. Le artiglierie erano accompagnate dai bombardamenti aerei che cercavano di colpire i tedeschi che si erano rifugiati tra le rovine della cittadina. I bombardieri distrussero tutto e noi colpivamo quelle poche abitazioni rimaste intatte. I tedeschi si erano rifugiati nelle cantine e noi sparavamo casa per casa. La distruzione è stata totale, Piedimonte San Germano prima fu svuotata dai tedeschi e poi completamente rasa al suolo dagli Alleati. La distruzione è un sacrificio perché cambia la fisionomia di un paese e Piedimonte deve essere ricordata come città Martire, ma in Italia nessuno conosce il sacrificio di questa piccola cittadina. Io in ogni circostanza ho sempre ripetuto che Piedimonte San Germano deve essere considerata città martire e l’ho sempre ricordata insieme a Varsavia, Dresda, Coventry, Londra e Cassino, indipendentemente dalla loro grandezza e dal numero delle vittime. Queste città sono state rovinate o distrutte, ma ora sono rinate per permettere alle nuove e future generazioni di vivere, di crescere nella speranza del bando delle guerre».

Pubblicato nell’edizione cartacea, Il Cronista n. 5/7-2005

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