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Storia

UTOPIA, IL TITANIC DEI POVERI

Erica Diana

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Gibilterra, 17 marzo 1891: la nave inglese “Utopia” della compagnia Anchor Line affonda nella Baia con più di ottocento passeggeri: tre di prima classe, tre clandestini, cinquantanove membri dell’equipaggio e ottocentoquindici emigranti.

Il vapore degli armatori Henderson Brothers partì da Trieste, si fermò a Palermo e arrivò a Napoli. Dal capoluogo partenopeo ripartì il 12 marzo carica di emigranti campani e calabresi e delle loro speranze di una vita migliore in America. Tanti erano nella provincia di Terra di Lavoro, tra i morti vi erano alcuni di San Giovanni incarico
L’inglese Paul Baker scrisse nel 1977, quando tutto il mondo aveva già dimenticato, un bellissimo articolo in cui ricordava che durante la traversata del piroscafo, soffiava sul Mediterraneo “un imbarazzante venticello”.

L’utopia andò a sbattere contro la corazzata inglese Anson

illustrazioneQuando l’ Utopia, intorno alle ore 18:00 del 17 marzo 1891, aveva superato Punta Europa ed era giunta nella Baia di Gibilterra, questo “venticello” di cui accenna Baker, si trasformò in un vento forza nove.
Il comandante della nave, tale John McKeague, sopravvissuto alla tragedia, disse per giustificare la sua negligenza che il carbone stava per esaurirsi e si rendeva necessario ancorare a Gibilterra per fare rifornimento. Per mettere in pratica questa inaspettata sosta, egli commise un grave errore nel non perlustrare il porto che era già occupato dalla Flotta Inglese della Manica.
Nella manovra di ancoraggio il capitano fece un secondo errore, in quanto, nel virare a destra davanti alla corazzata inglese Anson ancorata nel porto, non calcolò la deriva, ovvero che la nave si muoveva spinta dalle onde e a poco a poco si avvicinava all’ Anson.
McKeague con la sua nave passò per tre quarti quando la poppa andò a sbattere contro lo sperone subacqueo dell’ Anson, lungo 6 metri che provocò una falla, in seguito alla quale la nave affondò in 5-10 minuti.

Morirono circa 500 persone

In così poco tempo solo alcuni riuscirono a salvarsi gettandosi in mare o accaparrandosi un posto sulle poche scialuppe di salvataggio.
Dei circa 300 superstiti, una parte riprese il viaggio per New York, altri rifiutarono di proseguire l’ american dream e ritornarono in patria, consci di essere scampati ad un orrendo destino a cui quel piroscafo, carico di speranze, sembrava essere in un certo qual modo già predestinato sulla base del suo stesso nome, Utopia, che in greco si traduce “in nessun luogo”, come per preannunciare un viaggio dal tragico esito.
I tribunali italiani condannarono gli Henderson Brothers a pagare i risarcimenti e poiché questi si rifiutarono, i tribunali minacciarono di confiscare le navi dell’ Anchor Line. Si aprì allora un contenzioso tra il Foreign Office (Ministero degli Affari Esteri inglese) e il Ministero degli Affari Esteri Italiano, il cui percorso giuridico nei tribunali di Napoli durò cinque anni.

Joseph Agnone ricostruisce la vicenda

Joseph Agnone, il ricercatore italoamericano noto per aver scoperto i responsabili della strage di Caiazzo, ha ricostruito questa terribile storia spulciando affannosamente negli archivi e nelle biblioteche del mondo. Gibilterra, Londra, Madrid, New York, Glasgow sono state solo alcune delle sue mete per la ricerca. Secondo le ricerche di Agnone un compromesso umiliò le vittime del naufragio
Presto questa storia sarà ampiamente narrata in un libro, in corso di pubblicazione, che descriverà la storia di questa nave il cui tragico destino è calato nell’oblio, diversamente da quanto accaduto per imbarcazioni sfarzose e lussuose, come ad esempio il Titanic, la cui storia è nota a tutti.

 

(Articolo pubblicato nell’edizione cartacea. Il Cronista n.°  01-12/2008)

Nata a Santa Maria Capua Vetere nel 1982, risiede a Liberi, l’antica Villa Sclavia(Ce). Laureata in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Caserta con la tesi in La sala di Astrea nella Reggia di caserta. Lo stato degli studi. Ha collaborato con il Museo Campano di Capua. Esperta di studi dell’area del Monte Maggiore, ha collaborato con il periodico locale La Voce di Liberi. Attualmente è specializzanda in storia dell’arte.

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