Tradizioni
IL MATRIMONIO NELLA SOCIETÀ DEI PASTORI IN PICINISCO
Nella società dei pastori, sulla ho scritto l’articolo “I nomadi dei monti” apparso sul n. 8-11 di questo giornale, è interessante conoscere anche l’antico rituale del matrimonio in uso fino a pochi anni fa.
La signora Lucia Crolla, che sono tornata ad intervistare, riferisce che i genitori stipulavano il “contratto” di matrimonio già quando i figli erano in tenera età. È spontaneo pensare che lo scambio di “beni” e di “persone”, che in tal modo si ratificava, servisse ad assicurare l’integrità del patrimonio familiare nonché l’adattamento all’ambiente della nuova famiglia che, in futuro, si sarebbe costituita e la sopravvivenza del gruppo con tutto il suo retaggio di usi e costumi. Nei matrimoni “combinati” non era insolito che i contraenti avessero già vincoli di parentela e lo stanziamento di quattro grossi nuclei nelle frazioni pastorali di Picinisco può essere indicativo di ciò: infatti troviamo i Crolla alle Fontitune, i Pia e gli Andreucci a Valleporcina, i Pacitti a Casale.
Eppure, negli anni Quaranta, una ragazza delle Fontitune, Assunta Crolla, si oppose alla decisione presa da tempo nei suoi confronti e infranse la regola: innamoratosi di un giovane del paese, rifiutò il promesso sposo convolando a nozze col suo bel piciniscano. Da allora, stando sempre a quanto testimonia Lucia (sorella di Assunta), i matrimoni combinati presero a diminuire e i giovani furono liberi di scegliersi tra di loro, anche se la scelta continuò a ricadere quasi sempre all’interno della società dei pastori per i quali, tuttavia, iniziò una nuova usanza: quella del corteggiamento.
Presso la fonte detta glie pesciarieglie, dove le ragazze si recavano ad attingere acqua oppure durante i lavori estivi della scartocciatura del granturco, i giovani lanciavano occhiate ammiccanti e cantavano stornelli. La signora ne ricorda uno in particolare: “Tutte le brunette sò fedeli / le biancoline sò le traditore / ne journe m’abbiaie fòsse fòsse / trovai la bella mea a lavà le cosse”.
I preparativi e il rituale del matrimonio di Lucia furono identici a tutti gli altri. Una settimana prima dell’evento, il corredo, che era stato acquistato al mercato di Atina, fu trasportato coi canestri in casa della futura suocera, dove fu esposto. Tutti aiutarono a trasportare i panni: donne, bambini, giovani e anziani e poi cantarono e ballarono fino a tarda ora. Anche l’usanza di esporre il corredo è durata fino a pochi anni fa. La sposa, inoltre, dovette provvedere ai materassi che, ovviamente, erano stati realizzati con la lana bianca e soffice delle pecore del suo gregge. Lo sposo, da parte sua, provvide alle brande e alle testiere del letto matrimoniale, oltre alla dimora nella sua casa paterna. Per la vestizione degli sposi, che nella cultura del matrimonio rappresentava quasi un’adozione e un affratellamento, ci fu lo scambio dei vestiti: la famiglia di lui pensò all’abito di lei e viceversa.
Il giorno delle nozze, 4 luglio 1947, Lucia indossò un vestito color rosa chiaro, composto da una camicetta, da una gonna “plissata” (plissé, tessuto lavorato con fitte piegoline) e da un fazzoletto con la frangia; lo sposo indossò giacca e pantaloni color marrone, camicia e cappello, quest’ultimo all’epoca d’obbligo.
Quando tutti furono pronti, il corteo si avviò a piedi fino alla chiesa del paese. A cerimonia ultimata, si ritornò alle Fontitune. Faceva caldo, il cammino fu lungo e tutto in salita, sicché arrivarono stanchi e sudati. Il pranzo si svolse in casa dello sposo e furono servite diverse pietanze: brodo, maccheroni, lasagne al forno, pollo e carne di pecora. I dolci furono semplicemente i biscotti fatti in casa. Dalla Chiana, frazione di Picinisco, giunse Domenico Gargano, il suonatore di fisarmonica che animò la festa con musiche e stornelli. Prima di congedarsi, gli invitati, sempre secondo l’usanza, andarono a “vedere” il letto degli sposi e qui, a cominciare dai due padri che gareggiarono “a chi metteva di più”, ognuno lanciò soldi finché il letto non fu ricoperto di banconote e di monete.
È evidente che il rituale avesse una funzione di augurio di prosperità non solo in senso economico, ma anche in senso di prolificazione e felicità coniugale. La mattina seguente, lo sposo invitò sua madre a “rifare il letto nuziale” ma la donna, con molta discrezione si esonerò dal controllo sulla verginità della nuora, infrangendo così la regola che, fino ad allora, aveva voluto attribuire alle suocere tale diritto e dichiarò di esser sicura della “sincerità” di Lucia che, all’epoca dei fatti, aveva solo 18 anni. Nei lavori domestici, che quella mattina furono necessari per rimettere a posto la casa, alla neo-sposa venne assegnato il compito di andare alla fonte, che distava circa mezz’ora di cammino, a lavare le tovaglie e le salviette usate per il pranzo di nozze; l’accompagnarono il marito ed il “ciuccio”.
Lucia Crolla ricorda con profonda commozione i fatti raccontati perché le riportano alla mente gli anni più belli della sua vita ma anche, purtroppo, la triste sorte che l’ha resa, anzitempo, vedova.
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