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Itinerari

IL SANTUARIO MARIA SS. DELLE GRAZIE DI VILLA SANTA LUCIA

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Il termine “santuario” dalla radice latina della parola “sanctus” che significa santo, sacro, divino, indica un luogo di culto dove è avvenuta una teofania, cioè una manifestazione divina, un luogo dove è sentita fortemente la presenza del soprannaturale e dove confluiscono i pellegrini per chiedere grazie o per ringraziare di averne ricevute.

Il santuario cristiano è sacro non solo perché in esso si è manifestato il divino e si svolgono pratiche devozionali, ma soprattutto perché offre all’uomo di sempre una opportunità in più per purificarsi mediante la penitenza e la preghiera e corrobora il suo spirito nell’affrontare la realtà della vita quotidiana, praticando gli insegnamenti di Gesù Cristo.
Quasi sempre ha annesso a sé un convento dove vivono religiosi e religiose, con vari carismi, con diverse forme di vita e di apostolato, ma tutti tendenti alla realizzazione delle virtù evangeliche e all’amore di Dio e del prossimo.

Il Santuario Maria SS. delle Grazie di Villa S.Lucia ha tutte le caratteristiche per essere tale, ha una storia riccamente intessuta di vicende miracolose, di pratiche cultuali, di attività catechetiche, formative, educative e sociali. Esso è luogo di preghiera sotto il manto della Vergine. E’ stato e continua ad essere meta di pellegrini provenienti da più paesi. Sobrio ed austero nelle linee architettoniche, adagiato sulla costa del monte ad est del paese, è ben visibile dalla via Casilina, sul versante ovest di Montecassino.

Sorse nel lontano 1595 in seguito al ritrovamento da parte di una pastorella e delle sue caprette, dell’immagine della Vergine col Bambino,dipinta all’ interno di un’antica edicola. Da piccolo tabernacolo ben presto si trasformò in una chiesetta custodita da eremiti.

Dopo il 1715, ad opera di Padre Carlo Alfonso De Mercantis di Parma, monaco agostiniano, il piccolo tempio divenne “Ritiro” , fu ampliato e abbellito e fu luogo di vita cenobitica.
Tra i 1744 e il 1746 furono costruite altre stanze e la chiesa fu consacrata in forma solenne dal vescovo della Diocesi di Aquino, divenendo centro di opere di carità verso i bisognosi, di catechesi cristiana, di alfabetizzazione e luogo di esercizi spirituali con ospitalità gratuita.

In seguito alle leggi napoleoniche il Ritiro fu ufficialmente sciolto e la chiesa fu affidata al clero secolare.
Nel 1834, tuttavia, santuario e convento furono consegnati ai Padri Sacramentisti e successivamente, nel 1859, ai Frati Minori di S. Francesco, con i quali divenne faro di profonda spiritualità cristiana e centro di accoglienza ante litteram. Infatti nel 1862 vi fu istituito il “Convitto serafico” per i bambini poveri dai cinque anni in su, “gli accattoncelli” , i ragazzi di strada, ai quali veniva offerto cibo, istruzione e avvio ad un mestiere.

Nonostante le “leggi eversive” del nuovo Regno d’ Italia, che sancivano la confisca delle case religiose e dei loro beni, alle quali il convento fu soggetto, i Frati francescani non furono mai mandati via e, verso la fine dell’ Ottocento, ospitarono anche uno studentato (seminario) che durò circa 15 anni.
Nei primi anni del Novecento il santuario e l’annesso convento furono ampliati e abbelliti.

Con i Patti Lateranensi del 1929 i rapporti Stato-Chiesa, Comune di Villa S. Lucia e Frati migliorarono. Tuttavia in seguito al secondo conflitto mondiale i religiosi furono costretti ad andare via ma, ritornati alla fine della guerra, avviarono la ricostruzione degli edifici. Ne venne fuori un complesso strutturale accogliente e adatto ad ospitare un collegio oppure a diventare un centro di attività e di servizi sociali. Ciò in parte avvenne, ma il santuario rimase essenzialmente un luogo di culto, importante anche per i paesi vicini. A causa del venir meno della Famiglia francescana, con il Capitolo del 1989 si deliberò e se ne effettuò la chiusura.

Sia il convento che i terreni ceduti in uso ai frati tornarono di proprietà comunale e alcuni locali, nei quali fin dal 1966-67 era ubicata la scuola media statale, sezione staccata di Piedimonte San Germano, sono stati utilizzati per tale scopo fino all’anno 2002. Il santuario con rettoria, di appartenenza al Fondo del culto della diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo, è rimasto commissariato e chiuso per alcuni anni. Veniva riaperto solo in occasione della festa della Madonna delle Grazie, il 2 luglio .

Tuttavia , un santuario mariano non poteva restare nell’oblio e nell’abbandono e, forse grazie alla benevolenza della Madonna, che ha ascoltato le preghiere dei devoti , forse grazie anche alle sollecitazioni delle autorità civili e religiose locali, il santuario e il convento si sono preparati ad accogliere una nuova Famiglia religiosa: quella dei Frati Francescani dell’ Immacolata , che si sono ivi insediati ufficialmente il giorno 6 luglio 2003.

Questi frati, radicati nella “Regola bollata” di S. Francesco d’Assisi e nella “Traccia mariana della vita francescana” fanno parte di una famiglia nuova, giovane, che comprende due Istituti religiosi di diritto pontificio , uno maschile e uno femminile, e che lega a sé anche un’ Associazione di laici secolari chiamata “Missioni dell’ Immacolata Mediatrice” (MIM) .

I Padri fondatori sono P. Stefano Maria Manelli e P. Gabriele Maria Pellettieri, formatisi tra i Frati Minori Conventuali, alla sequela di S. Francesco d’Assisi e di S. Massimiliano Maria Kolbe. Essi, guidati dall’Immacolata , sono riusciti a segnare, in varie tappe , il percorso di “un antico e nuovo”
carisma, che si propone il ritorno alle virtù evangeliche, all’ obbedienza, alla povertà, alla castità, alla penitenza, alla preghiera francescane, all’apostolato e alla missionarietà, ma tutto nel segno della fedeltà alla Vergine Immacolata e della consacrazione a Lei.

E’ questo il “quarto voto”, la caratteristica del nuovo Istituto religioso di cui S.Massimiliano esprimeva l’ineludibilità per ogni professione religiosa, poiché conoscere il mistero dell’ Immacolata Concezione, sia a livello speculativo sia a livello pastorale,significa entrare nel mistero della Trinità, del Verbo Incarnato e della Chiesa, di cui Maria è la Madre, significa assimilarsi sempre più a Gesù.

I Frati Francescani dell’ Immacolata, la cui Casa Generalizia si trova nell’ Arcidiocesi di Benevento e il cui Istituto ebbe il decreto di erezione pontificia il 22 giugno del 1990, con l’assenso di Sua Santità Papa Giovanni Paolo II, hanno aperto decine di Comunità in Italia e nel mondo e sono in continua espansione. Dalle Comunità principali di Frigento e di Benevento, alle altre più piccole, tra le quali anche quella di Villa S. Lucia presso il Santuario di Maria SS delle Grazie, ferve l’attività di formazione e di apostolato e i frati sono impegnati in diversi compiti quotidiani.

Con i piedi nudi nei sandali, con l’abito grigio celestino, con il cordone alla cintola e la medaglia dell’ Immacolata ben in vista sul petto, appoggiata dalla parte del cuore, ci si può imbattere nel frate docente di teologia, nel frate portinaio, nel frate meccanico, cuoco, predicatore e sacrista, nel frate tipografo, artista, catechista, organista, giornalista, operatore televisivo…
E “fasciare il globo di stampe mariane”, come affermava S.Massimiliano M. Kolbe, è un obiettivo perseguito fortemente da questi frati i quali, anche in tale attività, non fanno alcun commercio, ricevono solo libere offerte e vivono esclusivamente di elemosina, che scaturisce e dal buon cuore dei fedeli e dalla Divina Provvidenza.

Si potrebbe dire che essi vivono come gli uccelli dell’aria e i fiori dei campi, come tanti esseri che la terra nutre. Fortificati dalla severa “disciplina” di vita , sono attenti e accurati nell’azione liturgico-ministeriale, sono custodi diligenti del santuario loro affidato e riescono, con l’aiuto della Madonna, ad “insinuare” nell’animo delle persone la voce del Cristo crocifisso e risorto, che solo può dare la pace al cuore inquieto dell’ uomo di oggi e di sempre. I fedeli ,ogni giorno sempre più numerosi ,affluiscono con gioia verso il santuario della Madonna delle Grazie che presenta anche rilevanti aspetti artistici, nonostante i saccheggi perpetrati dai vandali nei periodi di chiusura.
L’opera di maggior pregio è la Sacra Effigie della Madonna, rimasta occultata nei secoli sotto un altro dipinto, riportata alla luce nel secondo dopoguerra, dopo la ricostruzione della chiesa, durante i lavori interni di decorazione.
La Vergine è raffigurata con il Bambino in braccio, che con la manina destra sorregge un seno della madre sgorgante gocce di latte le quali, cadendo, vanno a ristorare le anime del Purgatorio. Il complesso decorativo all’interno della nicchia è un dipinto murale, un affresco in scagliola, alto 160 cm e largo 120 cm, con veduta frontale, databile tra il XV e il XVII secolo di autore ignoto.

Altra opera apprezzabile è un’acquasantiera pensile, posta nel primo pilastro destro della navata centrale, in marmo scolpito ed inciso, alta 40 cm e dal diametro di 30 cm, risalente alla prima metà del sec. XVIII.
I dipinti murali ad olio dei lunettoni in alto a destra e a sinistra della navata centrale sono del pittore locale Celestino Tanzilli (Roccasecca 1881-1967); così anche alcuni quadri realizzati tra la fine degli Anni Cinquanta e i primi Anni Sessanta. Dell’artista Giovanni Bizzoni (Bergamo 1928- Roma 1992) sono i dipinti ad olio su tela presenti nella cappella di S. Antonio e quello della Visitazione, sulla volta dell’altare maggiore della Madonna delle Grazie.

 

Pubblicato nell’edizione cartacea, Il Cronista n.1-2/2006

( a Cura di Eugenio Maria Beranger) Elena Montanaro in questi ultimi anni l’area compresa tra Piedimonte San Germano e Villa Santa Lucia è stata oggetto di ricerche e di indagini da parte della prof.ssa Elena Montanaro, il cui primo libro risale all’ormai lontano 1995. In tale anno, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Villa Santa Lucia, usciva la monografia Il Santuario Maria SS. delle Grazie di Villa S. Lucia (FR): dall’alba al tramonto 1595-1995, stampata presso la Tipografia Pontone di Cassino. Articolato in 106 pp. e corredato da un ottimo corredo fotografico, il lavoro ricostruisce la storia di questo Santuario mariano edificato in seguito al rinvenimento di un affresco della Vergine con Bambino avvenuto nel 1595 da parte di una pastorella. La primitiva chiesetta, sorta intorno al luogo della prodigiosa invenzione, fu abbellita ed ingrandita nella prima metà del XVIII sec. per iniziativa di Padre Carlo Alfonso De Mercantis, nato a Parma da una facoltosa famiglia, ed appartenente all’Ordine degli Agostiniani. Nel 1744 fu consacrata, nella forma attuale, dal vescovo di Aquino mons. Francesco Antonio Spadea (1742-1751). Dopo alterne vicende, con Padre Ludovico da Casoria, la chiesa e gli ambienti limitrofi vennero affidati ai Frati Minori Riformati della Provincia di Napoli e Terra di Lavoro che molto operarono per l’elevazione culturale e spirituale dei contadini della zona e dei bambini poveri: i cosiddetti “accattoncelli”. L’edificio rimasto gravemente danneggiato durante il secondo conflitto mondiale fu restaurato alla fine degli anni ’50 e dotato di una serie di dipinti ad olio e quadri del pittore Celestino Tanzilli di Roccasecca. Fra questi, sulla navata centrale, vanno segnalati quelli che documentano la ricostruzione post bellica dell’edificio di culto e due immagini dell’Abbazia di Montecassino e del Santuario di Canneto a Settefrati. Nella chiesa sono presenti anche quadri di Giovanni Bizzoni, nato nel 1928 a Bonate Sopra (BG), ed allievo di Achille Funi. È autore di alcune opere conservate a Cassino, Pignataro Interamna, Sant’Ambrogio sul Garigliano, Sant’Andrea sul Garigliano ed a Sant’Elia Fiume Rapido, dove ha affrescato il Santuario mariano di Casalucense. Dal punto di vista demo-antropologico appaiono particolarmente interessanti le pp. 81-94 nelle quali l’A. riporta aneddoti e testimonianze sul Santuario raccolte dalla viva voce degli anziani. Nel 1999, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Piedimonte San Germano, Elena Montanaro pubblicava la monografia dal titolo L’Istituto delle Suore Carmelitane Teresiane di Fra Isidoro della Natività a Piedimonte San Germano. Lo studio, caratterizzato da pp. 122 e purtroppo non presente in nessuna Biblioteca romana, ruota intorno alla figura di Fra Isidoro della Natività, al secolo Giacomo Sciuti. Nato a Carpeneto (AL) nel 1699 e morto a Roma all’età di 70 anni, già converso nel 1721 presso il Convento dei Carmelitani Scalzi di Santa Maria della Scala in Trastevere e poi passato a quello di Santa Maria della Vittoria, sempre nell’Urbe, fondò, nel 1737 l’Istituto delle Maestre Pie Carmelitane Teresiane a Bauco (odierna Boville Ernica), centro della Diocesi di Veroli. Suo intento era quello di educare spiritualmente ed avviare ad una dignitosa vita sociale le ragazze povere che, in numero assai considerevole, girovagavano nelle campagne dell’allora Stato Pontificio e del Regno di Napoli e condannate ad una vita di stenti e di angherie. Dopo questa prima fondazione egli riuscirà a dar vita ad altri 19 Istituti sparsi nel Lazio Pontificio, nelle Marche e nel Regno di Napoli che, all’epoca, abbracciava anche i Circondari di Sora e di Gaeta. Nel 2004, nell’ambito delle manifestazioni per il 60° anniversario della Linea Gustav, sempre a cura dell’Amministrazione Comunale di Piedimonte San Germano, la Montanaro pubblicava Tra le pieghe della memoria. Seconda guerra mondiale, stampato a Cassino dalla Tipolitografia Pontone. Preceduta dalla presentazione di Gaetano de Angelis-Curtis – che, a p. VIII, molto opportunamente ha definito la monografia della N. come “un lavoro di scavo nell’animo per far riaffiorare alla memoria la realtà del tempo, le dure condizioni di vita e personali” –, Tra le pieghe della memoria si caratterizza per una cospicua quantità di testimonianze sia dei protagonisti degli eventi bellici sia della popolazione civile costretta dalla furia della guerra ad abbandonare il proprio paese natio. Il vero scopo della pubblicazione, come si evince a p. XI della breve ma pregnante premessa è quello di “sollecitare l’animo dell’uomo di ogni tempo a ripudiare sempre e ovunque la guerra” che l’A. racconta dando ampio risalto alla memoria comunitativa. Da essa emerge il ruolo fondamentale rivestito dall’elemento femminile sul quale, all’epoca, ricadde tutto il peso di salvaguardare l’unità fisica e spirituale dei nuclei familiari e di traghettarli, attraverso mille tempeste, verso quello che possiamo definire il “nuovo Continente del dopoguerra”. È un libro che dovrà essere tenuto in attenta considerazione da quanti si occupano della storia della seconda guerra mondiale e della ricostruzione post bellica nella Terra di San Benedetto, in virtù della miriade di notizie in esso contenute, ognuna delle quali, se letta con gli strumenti e la lente dello storico e con l’occhio rivolto a quanto contemporaneamente succedeva a Roma e nell’Italia del Nord, può dar vita ad ulteriori e più articolate indagini, con il risultato di inserire pienamente le vicende di questo settore dell’Alta Terra di Lavoro nel quadro della più grande Storia nazionale. Fra le varie testimonianze edite ne segnalo alcune: quella di Rosino Pelagalli che, con parole semplici ma efficaci, descrive come l’atteggiamento dei tedeschi già da alcuni mesi presenti nell’agro di Aquino per via dell’Aereoporto, con l’avanzare delle truppe alleate, cambiasse notevolmente dal momento che gli stessi temevano sempre di più lo svilupparsi di sommovimenti popolari. Questi, peraltro, erano del tutto estranei alle tradizioni delle nostre popolazioni di provato carattere mite ed accondiscenti verso tutti gli occupanti, a condizione che non si sentissero minacciate nel posseso della loro terra e degli animali e negli affetti familiari. La seconda testimonianza è di Giuseppe Pelagalli che si sofferma sullo sfollamento operato dagli americani verso Cetraro, centro in Provincia di Cosenza, dove i profughi del Cassinate furono “paracadutati” all’interno di una Comunità ancora più povera delle loro, malgrado non fosse stata quasi per nulla sfiorata dalla tragedia bellica. Struggente la deposizione di Giosuè Avallone, nato a Gaeta nel 1914, prigioniero dei tedeschi nel campo di concentramento di Buchenwald ove, in seguito ad un bombardamento alleato, morì Mafalda di Savoia. Egli, con altri suoi commilitoni – tutti marinai di Gaeta –, non appena liberato dalla prigionia pose sulla tomba della sfortunata principessa una Croce lignea ed una lapide marmorea con il seguente incipit: “A – Mafalda – di Savoia i marinai della Città di Gaeta”, la cui foto è riprodotta nella quarta di copertina della monografia. Altrettanto prezioso è il racconto di Giovanni Vizzaccaro (classe 1934) che, in primis, descrive come la popolazione, già nella tarda estate del 1943, organizzasse ripetute processioni per sollecitare la protezione della Vergine sui propri cari, impegnati sui varî fronti di guerra, e sulle proprie case, di continuo, minacciate dall’aviazione e dall’artiglieria alleate. Quindi il Vizzaccaro tratteggia l’esodo voluto dalle Autorità germaniche verso il Nord d’Italia con meta finale la Provincia di Mantova. Qui le popolazioni e le amministrazioni comunali accolsero i nostri compaesani con grande generosità cercando il più possibile di alleviarne il peso del soggiorno e tentando, per quanto possibile date le drammatiche situazioni economiche in cui versava la Repubblica Sociale Italiana, un loro inserimento nelle strutture produttive. Da non poche testimonianze emerge anche il buon rapporto intercorso tra la popolazione di Piedimonte San Germano e della limitrofa Villa Santa Lucia ed i soldati germanici, sovente protagonisti di atti di generosità specie nei confronti di anziani e di bambini nei quali, probabilmente, rivedevano i propri cari lontani, sempre rispettosi delle donne e che, non di rado, riuscivano ad instaurare amichevoli rapporti specie con quelle famiglie le cui giovani lavoravano al loro servizio come cuciniere, sarte e lavandaie. Concludo con la memoria olografa di Giovanni Ferri (morto nel 1995) che, nelle pagine conclusive del volume, descrive il suo rientro in Patria avvenuto l’1 dicembre 1944 essendo stato anticipatamente liberato dalla prigionia dagli inglesi in quanto gravemente ferito nelle operazioni belliche. Nel 2006, presso la Casa Editrice Eva di Venafro, veniva alla luce un nuovo lavoro di Elena Montanaro dal titolo:Lucia di Siracusa tra passato e presente ed articolato in 175 pagine. L’A., della quale è evidente la devozione verso la martire, ben coniuga tale dato di fatto con il desiderio di far conoscere agli abitanti della Media e Bassa Valle del Liri le vicende biografiche, la diffusione del culto, l’iconografia e le tradizioni popolari connesse con questa santa, probabilmente morta a Siracusa nel periodo delle durissime persecuzioni dell’imperatore Diocleziano (284-305 d.C.). Il suo culto si diffuse abbastanza rapidamente dalla Sicilia per tutta la penisola ed oltre l’arco alpino, essendo già attestato nel VI secolo a Roma, ove sotto il papa Onorio I (625-638), fu edificata nell’Esquilino la chiesa di Santa Lucia in Selce posta nell’area della Porticus Liviae. Nella tradizione popolare le è attribuito il patronato della luce sia quella che svela all’uomo le bellezze del creato sia quella che indica la fine della lunga notte invernale. Proprio per questo ultimo motivo appare particolarmente venerata nei paesi scandinavi dove, in Danimarca ed in Svezia, il 13 dicembre di ogni anno giovani fanciulle, vestite con tuniche bianche e recanti in testa una corona con sette candele accese, portano ai bambini ed agli anziani piccoli doni preannunciando, nel contempo, l’imminente arrivo del Santo Natale. Ancora in quest’anno la N. dava alle stampe, sempre per l’ottima Casa Editrice molisana, Come stelle cadenti 1996-2006, [Venafro 2006], pp. 98, un volume di poesie, purtroppo, non presente nelle Biblioteche dell’Urbe.

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