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1927, si gira a Trivigliano “l’Angelo ferito”. La storia di Lina, la bella frascatana, rapita per amore. Corrado Alvaro e Filoteo Alberini ospiti a casa Lattanzi

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Il millenovecentoventisette è l’anno in cui il fascismo obbliga i giovanotti a prendere moglie; in cui viene eseguita in America la condanna a morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti; in cui al Torino viene revocato lo scudetto 1926-27 in seguito alla scoperta della corruzione di un giocatore juventino ad opera di un dirigente granata. E’ l’anno in cui Grazia Deledda ritira il premio Nobel per la letteratura assegnatole nel 1926. L’anno in cui, istituita la provincia di Frosinone, Trivigliano cessò di essere provincia di Roma.
E, come racconta lo storico Pino Pelloni, originario di Trivigliano, quel 1927 vide nel piccolo paese ciociaro alle porte di Fiuggi, la creazione di un consorzio veterinario, l’istituzione della condotta medica, la ristrutturazione della piazza e l’inaugurazione di un nuovo viale.

Perchè quel 1927 a Trivigliano è un anno da ricordare? Non certo per le 49 nascite, i 17 matrimoni, i 40 morti e l’acquedotto che ancora non era stato costruito. Poteva sembrare un anno come gli altri che si sono succeduti, racconta sempre Pino Pelloni, il testimone di questa storia familiare che si lega alla storia del cinema italiano: “Era podestà Giuseppe Petochi, lo zio Peppino, fratello di Caterina Petochi, andata in moglie a Pietro Lattanzi, i nonni di mia madre. Don Costantino Bonanni era il parroco, il dottor Cesare Torroni il medico operante in paese. La guardia comunale si chiamava Attilio Caponera, quella campestre era Salvatore Fabiani, e sua moglie, Crocifissa Di Meo, diplomata ostetrica, faceva l’infermiera. Fungeva da levatrice la signora Cecilia Ascani e l’ufficio postale era retto da Emma Lattanzi. Serafino Bonanni aveva il duplice ruolo di portalettere e sagrestano. L’unica maestra elementare era zia Climene Amati, figlia di una sorella di Camillo Lattanzi e quindi cugina carnale di mia madre Fernanda”.

Filoteo Alberini

Ma allora cosa accadde di così importante a Trivigliano in quella tarda estate del 1927?
Arrivò il cinema. Ebbene sì! A Trivigliano arrivò, prima dell’acqua, il Cinema con la C maiuscola. Non una saletta di proiezione qualunque, che di certo sarebbe stata mal riposta in un paesino, ma una intera troupe cinematografica dal cast internazionale.
Ermete Santucci, giovane ed intraprendente produttore e cineasta dell’epoca, era solito venire a Trivigliano a far visita a sua zia Teresa Santucci, originaria di Pontecorvo, e al di lei marito Camillo Lattanzi, lo zio Camilluccio, nonno materno di Pino Pelloni.
Ma Ermete Santucci, era anche nipote di Filoteo Alberini (che aveva sposato la sorella del padre), pioniere del nostro cinema e inventore del kinetografo, apparecchio per riprendere, proiettare e stampare film, e ricordato per aver fatto recitare dinanzi ad una macchina da presa Ettore Petrolini e per aver proiettato per la prima volta in Italia e davanti ad un pubblico, il film “La presa di Roma, ovvero la Breccia di Porta Pia”. Era, in quegli anni, sindaco di Roma Ernesto Nathan e proprio il 25 settembre del 1905 si festeggiava l’anniversario dei 35 anni di Roma Capitale.

Alberini alla macchina da presa

Ma torniamo all’intraprendenza del giovane Ermete Santucci che, scelto come set Trivigliano per il suo primo lungometraggio, si mette alla ricerca della penna di uno scrittore di vaglia e di felice futuro che gli scrivesse la sceneggiatura. Siamo nella primavera del 1927 quando, l’assistente di Filoteo Alberini, dopo un lungo pedimento per le via di Roma raggiunge ed aggancia al Pincio lo scrittore calabrese Corrado Alvaro, intento a godersi un po’ di sole su una panchina. Si danno appuntamento il giorno dopo nella redazione del giornale dove lavora Alvaro. Lo scrittore ricorda bene quella visita del febbraio 1927: “Mi vengono in redazione due signori enormemente dinamici. E intelligenti anche. Dio grazia! Con tante visite di mezzi scemi! Uno di questi è Ermete Santucci, nipote del Commendator Filoteo Alberini, fondatore, come ognuno sa, della vecchia gloriosa Cines e inventore di un apparecchio da presa (venduto, naturalmente, per necessità agli americani) che permette di ritrarre con un angolo di 90 gradi, anziché di 45 ch’era il massimo che si poteva sino a ieri.”

Corrado Alvaro ed Ermete Santucci 1927

Alvaro viene ben presto convinto a scrivere il soggetto e con l’entusiasmo del neofita e con la coscienza dello scrittore di razza tira fuori la storia dell’“Angelo ferito”. A Gyuricza Janos, apprezzato operatore cecoslovacco, è affidata la parte fotografica. Gli interpreti sono: Almonte Cinalli, l’attrice francese Lie Brieux, il bravo Laici, Reisner Von Kolman, la graziosissima Isa Dora e Mario Canale. Corrado Alvaro debutta come soggettista-sceneggiatore e Ermete Santucci come produttore e regista. Girato in esterni a Trivigliano, l’unica copia fu venduta a un “distributore americano” e presentato con molto successo tra le comunità ciociare delle due Americhe. Il negativo del film non si è mai più trovato. Per realizzare il soggetto, Alvaro fu pagato con 700 lire, mentre l’intera produzione della pellicola costò 21.794 lire.
Ma, ricorda sempre Pino Pelloni, quella, per Corrado Alvaro, non fu l’unica esperienza di scrittore di cinema: ci ricascò con grande professionalità collaborando, nel 1949, alla sceneggiatura di “Riso amaro” del fondano Peppino De Santis, con Vittorio Gassman e Silvano Mangano indimenticabili protagonisti”.

Set a Trivigliano

Ma torniamo alle giornate triviglianesi, alle riprese del film che incuriosirono molto gli abitanti e che si svolsero nella villa di casa Petochi, a casa di Camillo Lattanzi con il grande pranzo di fine produzione, nei vicoli di Monte a Corte e nella piana del lago di Canterno che sino al 1924 si chiamava ancora Lago Lattanzi.
Le tradizioni del luogo si sposano alle abitudini cittadine degli artisti in una sintesi di giornate diverse che molte persone, oggi scomparse, ricordavano come un grande avvenimento. Tra gli interpreti c’era anche una giovanissima ragazza italiana, Angela De Santis, detta Lina Nel 1927 aveva 21 anni. Era nata a Frascati e, nel fiore della bellezza, sognava il mondo del cinema. Venne scelta da Ermete Santucci che la volle tra gli attori de “L’Angelo ferito”, ma la ragazza Lina non sapeva allora che quel film avrebbe segnato una svolta nella sua vita. Scrive Pino Pelloni, nel libricino che ha dedicato alla storia di quell’anno e di quel film: “A Trivigliano, il sor Pietro Lattanzi, classe 1905, per noi lo zio Pietruccio, il primogenito di Camillo e Teresa Lattanzi, fratello di mia madre, conduceva la vita del signorotto di paese con le uniche parentesi della Campagna d’Africa e qualche annetto da miliziano fascista. Era il ruolo che spettava al primogenito.”

Zia Lina

Quando a Trivigliano arrivarono “quelli del cinema” il sor Pietro non stava nella pelle. Ed è curiosando sul set che mette gli occhi sulla bella frascatana e decide di farla innamorare e prendersela per moglie. “Bella era bella- scrive ancora il “cacciatore di storie” Pino Pelloni- e giovane la zia Lina. Guglielmina Fabiani, allora diciottenne, ricorda di come il sor Pietro, avendola vista mezza ignuda in una scena girata alla fontanina di Monte a Corte, abbia completamente perso la testa”.
In famiglia, con un pizzico di ironia, si fece leggenda di come il giovanotto focoso un bel giorno arrivò nel giardino dei Petochi sul suo cavallo bianco, invase il set e rapì la bella Lina. Si sposarono di lì a qualche anno e andarono a vivere a Roma.

Locandina film

Si chiude così questa storia d’altri tempi: “Zio Pietruccio morì a Trivigliano, dopo una dolorosa malattia nel 1950, e la vedova Lina, la giovane donna che aveva lasciato il sogno del cinema per amore, s’industriò a tirare avanti i suoi tre figlioli. La ricordano come tagliatrice e sarta d’alta moda della casa Schubert. Riposa a Trivigliano nella tomba dei Lattanzi.” Di quel lontano 1927 a Trivigliano è rimasto il ricordo della grande festa di fine riprese, a cui intervennero Corrado Alvaro e il mitico Filoteo Alberini, e dell’ultimo sigaro fumato da sor Camillo Lattanzi sotto il grande noce del giardino di Peppino Petochi.

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