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CASSINO, BAFFI E IL GIALLO DELLA MAPPA SBAGLIATA

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BATTAGLIA SULLA LINEA GUSTAV: DUE FIUMI INVERTITI, 1600 AMERICANI AFFOGATI

(Corriere della Sera – 11/11/ 2007)

di Marco Nese

L’AQUILA – «La verità sulla battaglia di Cassino, dopo più di sessant’anni, non è ancora venuta fuori». Così so­stiene Pietro Valente, 76 anni, perito in­dustriale in pensione, abitante all’ Aqui­la, ma nato a Cassino dove fu testimo­ne di episodi cruciali, che rivelano retro­scena clamorosi di quel terribile scon­tro armato. «Avevo 12 anni – racconta Valente -. Abitavo a Colle della Pietà, 4 chilo­metri a sud di Cassino. C’erano solo cin­que case. La mia era attaccata alla chie­sa della Pietà, dove la domenica suona­vo le campane». Il 18 aprile del 1943 arri­vò un signore che si qualificò come pit­tore. Chiese a Valente di accompagnar­lo sul punto più alto del campanile da dove si dominava l’intera valle. Passò la giornata a dipingere. E il ragazzino lo guardava. Si accorse che ogni tanto dai tornanti della strada qualcuno manda­va segnali con un lampeggiante. E il pit­tore segnava. Alle cinque del pomeriggio se ne an­dò. «Quell’uomo, anche se in borghese, era un uffi­ciale dell’Esercito italia­no, e si chiamava Paolo Baffi, il futuro Governato­re della Banca d’Italia». Valente .è sicuro di ri­cordarlo benissimo, di averlo riconosciuto poi in fotografia. Lo stesso Baffi, come vedre­mo, si è in seguito ricordato di lui. Ad ogni modo, quello che si definiva pitto­re tornò alla chiesa della Pietà. Fu al­!’inizio di maggio del 1943. Anche sta­volta andò con una macchina guidata dallo storico Pietro Fedele, che era un senatore fascista, ucciso pochi mesi do­po. Rimase due giorni. «lo lo accompa­gnavo su in cima al campanile e lui dise­gnava. A un certo punto aprì una map­pa militare sulla quale erano riportati i punti fondamentali della zona, la ferro­via, i monti, i fiumi. La cosa strana fu che cancellò la scritta Gari accanto al fiume che porta questo nome e ci scris­se Rapido». Cioè, il nome di un altro fiume. Solo che il Rapido scorre molto più su, e su­bito a sud di Cassino si butta nel Gari. Valente glielo fece notare. Disse: è sba­gliato, questo è il Gari. Lui disse: ah sì, va bene, ma non fece la correzione. Se ne andò con la mappa sbagliata. La dif­ferenza è fondamentale, perché il Rapi­do è un torrentello con un filo d’acqua, il Gari è un fiume bello profondo. Sia­mo nella primavera del ’43. In Africa, dopo la battaglia di El Alamein, la guer­ra era persa per l’Asse. Italiani e tede­schi si preparavano a fronteggiare l’in­vasione degli Alleati. E quelle mappe servivano evidentemente a disegnare la linea G, che all’inizio stava per Ga­ri-Garigliano e dopo l’8 settembre as­sunse la denominazione di linea Gu­stav.Misterioso il motivo per cui una delle mappe fu volutamente tracciata con uno sbaglio, il fiume Gari indicato inve­ce come fiume Rapido. Ancora più mi­sterioso il percorso attraverso cui quel­la mappa sbagliata arrivò, o fu fatta ar­rivare di proposito, nelle mani dei co­mandanti americani. Fatto è che quan­do gli Alleati, dopo lo sbarco sulla co­sta salernitana, risalirono la penisola erano convinti, in base a quella mappa, di trovarsi davanti a un rigagnolo dal nome del tutto inappropriato di Rapido, e invece ebbero la brutta sorpresa di vedersi la strada sbarrata dalle acque impetuose del Gari.La notte del 20 gennaio 1944 gli uomini della 36° Divisione di fanteria «Texas», che si erano fatti onore a Salerno, lanciarono un primo attacco, cercando di guadare il fiume e affrontare i tedeschi sull’altra sponda. «Annegarono quasi tutti – ricorda Valente -. Ap­pesantiti dallo zaino e dalle armi erano travolti dalle acque». La notte successi­va gli americani lanciarono un nuovo re­parto nel tentativo di attraversare il fiu­me. «Nel tardo pomeriggio del 22 gen­naio – ha scritto uno che c’era, Lee Carraway Smith – il generale Keys si rese conto che anche il secondo attac­co era fallito». I comandanti erano sconcertati. Controllavano la mappa in loro possesso e non capivano. L’ufficiale inglese Char­les Douglas, che ancora oggi torna ogni anno sui luoghi della battaglia, si permi­se di dire al comandante in capo, il ge­nerale americano Mark Clark, che in quella mappa qualcosa non andava. «Shut up», reagì Clark, zitto tu. E così la notte del 23 gennaio per la terza vol­ta gli uomini della Divisione «Texas» fu­rono costretti a gettarsi nel fiume Gari. Con lo stesso orribile risultato degli at­tacchi precedenti. In totale il generale Fred Walker, comandante della Divisio­ne, contò 1681 morti. Fu uno shock. Le operazioni si bloc­carono. «A causa di quel fiume – dice Valente – l’Italia fu liberata con mesi di ritardo». Paolo Baffi non dimenticò il ragazzino che l’aveva accompagnato sul campanile. «Fece assumere mio fra­tello al Banco di Roma. E negli anni Settanta, quando diventò Governato­re della Banca d’Italia, mi mandò Adolfo D’Aliesio, consigliere della Banca d’Italia». Baffi sapeva che la chiesa del­la Pace, in cima alla quale si era arram­picato, non esisteva più. I bombarda­menti l’avevano cancellata. «Il consi­gliere da lui inviato disse che il Gover­natore aveva piacere di riparare i dan­ni». Voleva far ricostruire la chiesa. Non ne ebbe il tempo. Nel 1979 Baffi si dimise in seguito a un’inchiesta giudi­ziaria dalla quale uscì completamente scagionato

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