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Storia

IL SANTUARIO DI CANNETO NELLE IMPRESSIONE DI UN VIAGGIATORE STRANIERO DEL 1843

Eugenio Maria Beranger

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Uno dei temi più frequenti nelle conversazioni che sono solito tenere in occasione delle mie frequenti escursioni nell’Alta Terra di Lavoro è il supposto isolamento delle zone interne appenniniche di questa area che, a detta della maggior parte dei miei interlocutori, per molti secoli sarebbero state tagliate fuori dal resto della penisola sia a causa della totale assenza di vie di comunicazioni sia delle condizioni climatiche di certo molto meno clementi delle attuali.

Ai miei interlocutori rammento come la Media Valle del Liri e la Valle di Comino abbiano, viceversa, intessuto vivaci scambi commerciali con i territori transappenninici e come, in virtù dei cicli migratori stagionali, molto forti furono i legami che unirono il Circondario di Sora alla Marsica, alla Campagna Romana ed alle Paludi Pontine.

Inoltre evidenzio sempre i considerevoli rapporti culturali con Napoli, la capitale del Regno, e, soprattutto, il cospicuo numero di viaggiatori stranieri che nei secc. XVIII-XIX scesero in questo territorio per ammirare le bellezze naturali, il patrimonio architettonico, i costumi degli abitanti ed alcune forme devozionali, incomprensibili per lo spirito fortemente laico della cultura anglosassone e della Mittel Europa e, proprio per questo, descritte ed illustrate con notevole precisione e dovizia di particolari.

Sono, pertanto, lieto di presentare alcune pagine dedicate alla Valle di Comino ed al suo più importante monumento cristiano: il Santuario della Madonna di Canneto e, per quanto mi risulta, del tutto ignorate dagli autori che si sono soffermati su questo luogo di culto sorto alle sorgenti del fiume Melfa.

Esse si devono alla penna di Rudolf Lehmann e sono inserite nella monografia An Artist’s Reminiscences, edita a Londra nel 1894 e, gentilmente, segnalatami dal prof. Pier Andrea De Rosa, uno dei massimi studiosi dei pittori della Campagna Romana.

Il Lehmann nacque il 19 agosto 1819 ad Ottensen nei pressi di Amburgo; a diciotto anni appare già introdotto negli ambienti artistici di Parigi per poi trasferirsi a Monaco di Baviera. Il suo primo viaggio in Italia, con il fratello Henry, risale al 1839; per sei anni dimorò a Roma specializzandosi in ritratti di contadini e pastori dell’hinterland romano e dell’Abruzzo.

Nel 1850 è ad Amburgo mentre, dal 1856 al 1866, sarà di nuovo nella nostra penisola fatta eccezione della brevissima parentesi dovuta al matrimonio londinese. Il suo studio romano fu molto frequentato da artisti stranieri fino a quando egli decise di trasferirsi definitivamente oltre Manica.

Tra le sue opere, poiché fortemente legate alla storia del paesaggio laziale, mi limito a segnalare tre dipinti: il primo, conservato nel Museo di Lilla, raffigura papa Sisto V mentre benedice le Paludi Pontine; il secondo ritrae un’aurora nelle citate Paludi ed il terzo, infine, uno “Spurgo di Canale”.

A Londra si specializzò in ritratti di personaggi più in vista della vita culturale e politica inglese, una silloge dei quali fu raccolta a cura di H.C. Marillier nel volume Men and Women of the Century. Being a collection of portraits and sketches by Mr. Rudolf Lehmann, edito a Londra nel 1896. Morì nella capitale britannica il 27 ottobre 1905.

L’intero capitolo settimo di An Artist’s Reminiscences è intitolato “The Abruzzi-Piscinisco-La Madonna di Caneto” e risale al 1843. L’artista fu spinto a compiere questo viaggio dalla curiosità di visitare le terre di origine dei modelli ritratti dagli artisti operanti a Roma, provenienti in gran numero dalla Terra di Lavoro, recanti ai piedi le ciocie e, per aspetto fisico, assai simili ai “Moorish pirates”, cioè ai pirati moreschi.

La prima tappa di questa escursione fu Sora, all’epoca sede di Sotto Prefettura; vi arrivò nel giorno di mercato settimanale suscitando grande interesse tra gli avventori di una locanda tra i quali si distinse un signore che, sia pur in maniera poco discreta, gli domandò la metà del viaggio ed il luogo ove avrebbe alloggiato.

Ottenuta risposta fu pronto ad offrirgli una lettera di presentazione per il cognato, don Luigi Lecce, sindaco di Alvito. A dorso di mulo il Lehmann raggiunse questa splendida località, descritta come un vero e proprio nido di aquile, dove egli trascorse una notte di assoluto riposo. Il giorno dopo, munito di un’analoga lettera di presentazione, si diresse alla volta di Picinisco.

Il Lehmann, dopo aver paragonato i piciniscani agli svizzeri ed ai tirolesi, si sofferma a descrivere alcune loro usanze. Non pochi di loro, infatti, si trasferiscono a Roma in qualità di pifferai; qui sono soliti ringraziare gli elargitori di consistenti elemosine donando agli stessi un cucchiaio di legno scolpito, nei mesi estivi, mentre sono intenti a far pascolare i propri armenti.

Altri sono venditori di tappeti sapientemente confezionati ai telai domestici dalle proprie moglie o danzano in compagnia di orsi marsicani o si esibiscono come suonatori di organetto a cilindro o sono rinomati ed apprezzati in tutto il continente europeo come venditori di gelati.

Nell’estate, infine, suddivisi in compagnie guidate da un “capitano” si recano a mietere nella Campagna Romana o nelle Paludi Pontine.
A Picinisco il Lehmann trovò ospitalità presso l’abitazione dell’avvocato Lorenzo Demarco e del figlio Filiberto.

L’artista, a proposito dell’ospitalità offerta dal Demarco, osserva come egli avesse fatto allontanare dalla propria abitazione i nipoti onde salvaguardare il sonno del suo ospite, gli avesse servito a letto una grande tazza di caffè e, soprattutto, l’avesse costantemente seguìto ed accompagnato in ogni suo spostamento.

Quest’ultimo fatto, invero, non sembra gradito all’artista che non si sentiva libero di poter abbozzare con la matita gli amati schizzi di paesaggio e di volti umani.

Non di meno, però, accettò di essere accompagnato ad assistere alla tradizionale festa agostana a Canneto dove, sùbito, rimase colpito dallo spettacolo offerto da donne e bambini che, avvolti in panni colorati di mediocre qualità, guadano il limitrofo corso del Melfa cercando di afferrare dal fondo dello stesso minuscoli frammenti di un minerale lucente da riconoscere nella limonite estratta nella soprastante miniera. Essi saranno poi gelosamente conservati in una fasciola di lino stretta intorno al collo.

A proposito della chiesa egli ricorda, come il 21 agosto di ogni anno, la statua della Vergine sia in essa trasportata da Settefrati e come la ricorrenza renda possibile ai fedeli ottenere indulgenze e remissione di peccati. Con la mentalità speculativa tipicamente protestante egli sùbito quantizza in una cifra pari a 300 scudi l’entità delle offerte raccolte nei giorni della festa dal locale clero aggiungendo, peraltro, come essa sia una cifra degna di tutto rispetto in quanto proveniente dalle “tasche” di poveri contadini e pastori.

Particolarmente importante si rivela la descrizione dell’edificio di culto immerso in un’atmosfera alquanto pesante nella quale il profumo dell’incenso convive con quello dei rami appena tagliati nei boschi circostanti e dei fiori ed è, in parte, sommerso dall’acre odore dell’umanità olezzante.

La testimonianza del Lehmann continua segnalando come, all’improvviso, tra la folla si faccia spazio una giovane donna che, con l’ausilio dei soli gomiti e delle ginocchia, procede lentamente verso l’altare maggiore. In segno di penitenza e senza mai alzare la testa, inoltre, striscia la lingua sul pavimento facendo cadere una bava mista a sangue. È preceduta da una donna anziana che stringe un lembo di fazzoletto mentre la giovane tiene l’altra estremità. La permanenza del Lehmann all’interno dell’edificio termina con la constatazione che, soltanto Dio ed il confessore della giovane, potevano conoscere l’entità dei peccati che ella, sottoponendosi a tale calvario, sperava di espiare.

Tornato all’aperto l’artista viene attratto dai vestiti femminili in massima parte frutto del lavoro domestico; egli osserva come essi, privi di grazia, mal tagliati e confezionati ad eccezione della camicetta di lino ricamata, fossero composti di semplici pezze quadrate di panno rosso e blu serrate da nastri e fettucce di lana.

Il suo attento occhio si sofferma anche sulle numerose bancarelle caratterizzate da numerosi generi alimentari e vivande fra le quali pane confezionato con farina di granturco, guanciale, uova sode, cipolle, reste di aglio, maialini arrosto con saporiti ripieni, fichi e grappoli d’uva. Esse appaiono intercalate a venditori di oggetti di tipo devozionale, di fogli volanti recanti storie di miracoli scritte sia in prosa sia in versi e di bastoni da pellegrino ornati con nastri multicolori.

L’ultimo dato degno di rilievo è il rientro della statua della Vergine a Settefrati: il Lehmann rimane colpito dalla “parrucca” dai biondi capelli del simulcaro e dalla veste di seta blu ricamata e, soprattutto, impressionato dalla moltitudine di fedeli che, al canto di litanie e recando candele e torce accese, riaccompagnano il simulacro nella Parrocchiale di Settefrati.

Per chi voglia approfondire la figura del Lehmann consiglio la lettura delle seguenti voci: J.D. M.(ILNER) in The Dictionary of National Biography. Supplement January 1901-December 1991, I, Oxford 1927, p. 447 e U. THIEME – F. BECKER, Allgemeines Lexikon der Bildenden Künstler, XXII, Leipzig 1928, p. 583.

Pubblicato nell’edizione cartacea de Il Cronista n. 2/2005

Nato a Roma nel 1952 si è laureato con il massimo dei voti in epigrafia ed antichità latine presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza frequentando poi la scuola di perfezionamento di Archeologici classici presso l’Università di Pisa. Eugenio Maria Beranger è stato un grande studioso, rigoroso e appassionato che ha indagato e studiato con passione per 40 anni l’intero patrimonio storico-artistico demoantropologico con minuziose ricerche archivistiche. E’ stato folgorato dalla bellezza e dalla ricchezza del patrimonio storico dell’Alta Terra di Lavoro, che corrisponde a parte dell’attuale territorio del Lazio Meridionale, parte della Campania e dell’Abruzzo quando giovanissimo ha discusso la tesi di laurea sul patrimonio epigrafico dell’antica Arpinum. Studioso rigoroso poliedrico, iniziò ad occuparsi di quest’area del Lazio Meridionale nel 1974. Ha operato in numerose ricerche di superficie rivolte all’individuazione di epigrafi latine, monasteri benedettini, sorti nell’area di precedenti insediamenti o luoghi di culto italico-romani e di architetture di tipo agro-pastorale. Poi la sua indagine storico-archivistica si allarga ad altri settori:’ problematiche connesse con gli eventi naturali quali il terremoto di Sora del 1915 e l’innondazione del Liri del 1925, studio dei catasti e dei cabrei, l’approfondimento delle tradizioni popolari e trasformazioni del patrimonio edilizio tramandato dall’antichità, lo studio delle tecniche edilizie per aiutare e tutelare i centri storici, a storia del fascismo e della provincia di Frosinone. Ha dedicato grande attenzione allo studio dello sfollamento e al dramma della popolazione civile del cassinate. Ha partecipato a numerosi convegni, in cui ha trattato con rigore e inedite ricerche archivistiche temi sconosciuti ma di grande interesse. E ‘ stato protagonista nella creazione di alcuni musei e biblioteche civiche quali Arce Atina, Civitella Roveto, Cupra Marittima, Sora. Ha collaborato con i più importanti istituti scientifici, quali Accademia dei Lincei, Archivio di stato di Grosseto, Roma, Frosinone e altre istituzioni. È morto a Roma il 9 gennaio 2015.

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