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MUSICHE E BALLI DELLA TERRA DI LAVORO: LA SALTARELLA

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Danza e genere musicale su ritmo ternario in 3/4 o 3/8, dal tempo vivace. Nell’ambito della musica popolare si diffuse in tutta l’area del centro Italia (specie nell’alta Sabina, negli Abruzzi e nella Ciociaria), caratterizzandosi come il corrispettivo della tarantella nel Sud.
La “saltatio” era il ballo autoctono dei latini, di gran lunga il ballo più diffuso sin dai primi secoli di Roma (insieme alla danza armata della “ballicrepa” e al ballo cantato in tondo della “corea”), tanto che ben presto nella lingua latina “saltationes” e “saltare” hanno ampliato il loro campo sino a significare in genere “balli” e “ballare”.

Le “saltationes” sono state fino a tutto l’alto medioevo delle danze di carattere più vivace, eseguite in più combinazioni di ballerini e con elementi di evidente espressività erotica, tanto che non pochi interventi della chiesa in epoca tardo-imperiale e medievale hanno cercato di contenere l’uso delle “saltationes” durante le feste e durante gli stessi rituali liturgici.
Nel XIV sec. troviamo già alcune trascrizioni musicali di saltarello (British Museum Add. 29987). Nel 1465 il Comazano lo indica come “ballo da villa” molto frequente fra gli italiani. Tra il XIV e il XVII sec. il saltarello è uno dei quattro modi basilari della danza di corte italiana (bassadanza, saltarello, quaterlaria, piva): gli ambienti aristocratici erano soliti ispirarsi ai balli popolari per poi effettuare trasposizioni in stile aulico di musiche e coreografie. Nel XVIII e XIX sec. si è sviluppata per mano di numerosi artisti italiani e stranieri una ricca iconografia con scene di saltarello.

In ambito popolare attuale, il genere musicale del saltarello ha molte affinità con la tarantella dell’ Italia meridionale e viene eseguito generalmente dall’organetto, ma originariamente l’organico era costituito da zampogna, ciaramella e tamburello.

Il ballo etnico a ritmo di saltarello, viene chiamato al femminile “saltarella”, secondo un’usanza molto diffusa nel Regno di Napoli, così come per gli altri balli come la Tarantella, la Ballarella. la Tammurriata, la Pizzica, ecc. Anche nell’ area della Provincia di Terra di Lavoro (di cui il territorio solo dagli anni ‘30 è passato amministrativamente alla provincia di Littoria, ora Latina e di Frosinone), prevale dunque il nome al femminile.

La saltarella, che appartiene alla tradizione delle danze di corteggiamento eseguite nelle feste di paese, viene oggi ballata generalmente in coppia mista; un tempo era frequente veder danzare anche coppie dello stesso sesso, così come è possibile di tanto in tanto assistere ancora adesso ad esecuzioni in circolo con più coppie.

Fino agli anni ‘50 era praticata anche la Saltarella cantata che investiva gli esecutori del doppio ruolo di ballerini e di cantatori. A fine ballo gli stessi ballerini si portavano accanto al suonatore e cantavano a turno alcune strofe a “botta e risposta”. Talvolta il canto precedeva il ballo e poteva avere funzione d’invito. Una seconda modalità prevedeva la partecipazione di più coppie miste, le quali al suono di una marcetta facevano un giro di polka; ad un certo punto, dietro il comando di uno dei ballerini, si prendevano a braccetto, facevano un giro della sala e si recavano in fila presso il suonatore.
Qui i ballerini di ciascuna coppia a turno eseguivano il canto e tornavano al proprio posto fra gli spettatori.

Le arie che si cantavano erano due: una tipica degli stornelli a saltarello, l’altra del canto a braccio. Le strutture metriche prevalenti dei testi erano la terzina e la quartina di endecasillabi. I temi trattati erano vari e andavano dall’invito al ballo al soggetto amoroso o al canto a dispetto; i ballerini potevano attingere dall’ampio repertorio di testi canori che la tradizione metteva a loro disposizione, oppure potevano improvvisare creando un elemento in più di spettacolarità.

Riportiamo qui un frammento di testo del ballo del canto:

E tutte le bellezze de la luna
in portamentu te la ddà la reggina
caruccia cume te ‘ngi stà nisciunu

e se nz’ accundenda pate tu’ baffittu
se la pigliemu un casa in affittù
basta che ce capii la cassa e ju lettu

e puro senz’ ova e fàrina
e sotacciu pe fa cena
basta che i te spose signorina

 

Hai tutte le bellezze della luna, il portamento te lo dà la regina, carina come te non c’è nessuna /E anche se non è d’accordo tuo padre Baffetto, ce la prendiamo una casa in affitto, basta che centri dentro la cassapanca e il letto / e anche se ci mancheranno uova, farina e setaccio per far cena, basta che mi sposi tu signorina.

La conservazione del saltarello è dovuta ad un recupero delle radici culturali di questa terra. Sono andate via via morendo quelle occasioni rituali dove il ballo era un momento d’incontro e di socializzazione; le feste religiose, i carnevale, le serate di incontri festosi in casa d’inverno (dette sediature), l’uccisione del maiale, la fine della vendemmia o della mietitura, le nozze, le nascite, ecc. hanno lasciato il posto a feste e sagre estive nelle quali il ritorno di centinaia di abitanti, in cerca delle proprie radici culturali, ha incentivato la promozione di alcune forme espressive come la musica, la danza, i giochi, la gastronomia e a farle rivivere come rivisitazione della memoria.

 

 

*Articolo tratto da Pierluigi Moschitti, “Mò vene Natale, la tradizione natalizia e la musica popolare, Sistema Bibliotecario sud pontino, Gaeta 2004

 

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