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JOSEPH AGNONE: “COSI’ HO SCOPERTO LA STRAGE DI CAIAZZO. SU MONTECASSINO, MOTIVAZIONI PSICOLOGICHE E NON STRATEGICHE PER LA DISTRUZIONE DELL’ABBAZIA”

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A sessant’anni dalla Strage di Caiazzo parla Joseph Agnone

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Il ricercatore Italoamericano Joseph Agnone


Signor Agnone, lei è stato il primo ricercatore a fornire alla magistratura italiana il dossier sulla strage di Caiazzo, ritrovato negli archivi americani.
In che modo è riuscito a scoprire questa documentazione?

«Tutto è partito per passione, ero interessato alla storia della seconda guerra mondiale e, in particolar modo, alla guerra del Volturno».

In che modo ha indirizzato la sua ricerca sulla strage di Caiazzo, considerando che nessun libro di storia citava questo eccidio?


«Volevo approfondire alcuni dettagli relativi alla battaglia del Volturno e così consultai alcuni microfilm di giornali. Sul New York Times del 14 ottobre 1943 trovai un articolo che fece scattare la molla per una ricerca approfondita su Caiazzo. Il giornalista Herbert Matthews, scrisse che i tedeschi incendiavano tre case su quattro. Io per questo sentii la necessità di approfondire la ricerca, mi ricordavo della mia casa incendiata e provavo desiderio di trovare altri dettagli. Poi, mio nonno Luigi era di Caiazzo, faceva il barbiere e questo mi motivò ancora di più. In Biblioteca mi consigliarono di consultare gli Archivi.Così andai a Washington ai National Archives and Records Administration nel Maryland».

Dunque, lei si trovò in mano i registri dei crimini di guerra?

«Esattamente, per la prima volta ad un italoamericano fu consentito di consultare i registri dei crimini di guerra. All’interno di quei registri trovai il fascicolo sul massacro di Monte Carmignano, ma era solo una parte, ci volle molto tempo prima di recuperare tutta la documentazione.Prima informai il Comune di Caiazzo, poi la magistratura italiana».

Ma l’inchiesta non partì subito, ha dovuto insistere molto?


«Ci sono voluti molti anni prima che la magistratura italiana si decidesse a far partire l’inchiesta, io scrissi a diversi uomini politici, ma nessuno si interessò al caso».

In Italia il responsabile della strage di Caiazzo Wolfgang Lehing-Emden è stato condannato all’ergastolo in contumacia, ma non ha scontato la pena perché in Germania il reato è caduto in prescrizione; che idea si è fatto di questa vicenda?


«Io sono stato ascoltato dal presidente del Tribunale di Coblenza e gli ho spiegato le difficoltà che ho incontrato nel mettere insieme tutti i documenti sulla strage di Caiazzo.
Ma ho avuto l’impressione che in Germania non c’è stata la volontà di punire questo tipo di reati.
Anche l’Italia poteva fare di più, invece si è arrivata alla sentenza da parte del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere soltanto nel 1994, esattamente dieci anni fa».

In Italia i fascicoli sui crimini di Guerra sono stati occultati in un armadio presso la Procura militare di Roma e sono rimasti sconosciuti per anni fino al 1994, impedendo alla magistratura di avviare i relativi procedimenti penali. Questo credo sia l’aspetto più grave, non le pare?


«Certo, ma le dirò di più. Io fornii per la prima volta la lista di 146 casi di crimini di Guerra investigati dal P.W.B. c’erano le stragi di Bellona, S.Salvatore Telesina, Conca Campana ed altri».

Ha informato la magistratura competente per territorio?

«Si, nel caso di San Salvatore Telesina ho addirittura scritto alla Procura di Benevento ma non ho ricevuto risposta».

Comunque, lei ha avuto il merito di aver tracciato un percorso importante per far luce sui crimini di Guerra; infatti, dopo che sono stati trovati i fascicoli presso la Procura militare i ricercatori hanno compreso che già gli Alleati avevano redatto diversi rapporti sulle stragi e pertanto, hanno indirizzato la ricerca negli Stati Uniti e in Inghilterra.


«L’importante ricerca dell’Università di Pisa e Napoli, condotta dalla professoressa Gribaudi e dal professor Pezzino, per la redazione di un atlante delle stragi naziste in Italia ha indirizzato proprio l’attenzione sugli Archivi americani e inglesi.

Io sono stato il primo ad essere autorizzato dal Dipartimento di Stato ad accedere ai registri sui crimini di Guerra».

A proposito di Archivi americani, lei poi è diventato un esperto e si è occupato di altre ricerche?

«Ho svolto diverse ricerche sempre sulla seconda guerra mondiale, e le confesso che ho studiato anche il bombardamento di Montecassino. C’è un grosso mistero intorno a questo caso».

Scusi, oramai sul bombardamento di Montecassino si è scritto tanto ed è stato accertato che fu inutile perché i tedeschi non si erano rifugiati nel monastero. Cosa si può scoprire di più?


«Il Servizio segreto militare degli alleati sapeva che non c’erano tedeschi nell’Abbazia, perché con Ultra leggevano i messaggi dell’Enigma e conoscevano anche il giorno del ritiro. Il segnale che doveva trasmettere alle truppe tedesche l’ordine di ritirarsi era il bombardamento della stazione ferroviaria di Cassino. Sapendo che i tedeschi non occupavano il monastero, l’impiego di quella forza aerea serviva ad incoraggiare le truppe alleate a sfondare la Linea Gustav, era un fattore psicologico. Io credo che Roosevelt e Churchill si siano messi d’accordo e abbiano dato questo ordine, pur essendo consapevoli che all’interno del monastero non c’erano tedeschi. L’ordine potrebbe essere stato dato da Roosevelt».

Questa, però, mi sembra un’interpretazione molto forte, non c’è una documentazione che possa sostenere questa tesi?


«No, la documentazione non c’è; però, sono convinto che qualcosa si potrebbe trovare iniziando una ricerca seria sulla distruzione di Montecassino. Il generale Clark prima negò la sua autorizzazione per bombardare il monastero e poi diede l’ordine dispiegando una forza aera di quella proporzione. Se non era d’accordo avrebbe potuto impiegare una forza aera ridotta.Sicuramente Clark non era favorevole al bombardamento, però se fosse arrivato un ordine del genere doveva obbedire e cercare di scuotere i soldati, ecco perché furono impiegate tutte quelle tonnellate di bombe contro un bersaglio così piccolo».

Dunque, secondo lei non faceva parte di una strategia?

«Assolutamente no, nel bombardamento di Montecassino non vi erano motivazioni strategiche ma essenzialmente psicologiche. Lo sbarco ad Anzio non aveva dato i risultati sperati e l’arresto sulla Linea Gustav aveva creato malcontento tra i soldati, oltretutto anche negli Stati Uniti l’opinione pubblica non comprendeva come mai una forza militare del genere non riusciva a sfondare una linea difensiva che sulla cartina appariva molto ridotta.
E’ stato un ordine per rianimare il morale delle truppe Alleate, e naturalmente non potevano non farlo in grande stile, come sempre fanno gli americani».

 

Pubblicato nell’edizione cartacea, Il Cronista n. 0/2004

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